Carlo Melloni, Vittorio Brandi Rubio, Piero Alberto Tulli, Ada Patrizia Fiorillo, Paola Calafati, Andrea Zega, Armando Ginesi, Giulio Angelucci, Marilena Pasquali, Umberto Peschi, Bruno Cantarini. Enrico Crispoldi, Massimo Bignardi, Anna Caterina Toni, Mario Falessi, Lucio Del Gobbo, Paolo Centioni, Roberta Ruggeri, Virgì Bonifazi, Laura Trovellesi, Elverio Maurizi, Massimo De Nardo. Vitaliano Angelini, Francesca Jacopini, Gabriele Bevilacqua, Eliana Lucci, Andrea Socrati, Hermas Ercoli, Nunzio Giustozzi, Alvaro Valentini, Nicoletta Rosetti, Francesco Maria Orsolini, Daniele Taddei.
Alvaro Valentini (La poetica del simbolo)
Lo spazio come il tempo è indispensabile alla fioritura della vita, il segno come il gesto alla continuazione dell’opera demiurgica della creazione. Su questi versanti si snoda il linguaggio plastico e formale di Valerio Valeri, artista sensibile e intuitivo che ha fatto del riserbo virtù e della freschezza espressiva l’emblema di un’indagine ispirata in perfetto equilibrio tra la visione razionale e l’astrazione ideale.
Il suo lavoro artistico è in stretto rapporto con la materia, in particolare con i metalli, ferro, rame, alluminio che hanno acceso la sua immaginazione fin da bambino quando frequentava l’officina del nonno. Bagliori, scintille, incandescenze come bilancieri, torni, saldatori di quel tempo favoloso, ritrovati d’incanto nella bottega di Edgardo Mannucci, geniale artefice della scultura informale post-atomica, hanno plasmato la sua vocazione ad essere un estroso costruttore di forme e strutture che disegnano lo spazio, riempiono i vuoti, filtrano l’aria, evocando simboli ancestrali e sembianze prefigurate oltre il reale. In questo contesto di evocazioni e rimandi l’opera dalle sue abili mani diventa un colloquio intimo con la storia, l’umanità, la vita, un canto elegiaco con la natura, l’ambiente, l’arredo urbano.Come avviene peraltro nelle sue recenti sculture che da un lato recuperano simbologie astrali e dall’altro coniugano squarci di spazio animati da vele e orizzonti. Sono strutture morfologiche in ferro forgiate dal fuoco che raccontano lo spazio atmosferico evocando un’origine arcaica, primigenia e al tempo stesso moderna e attualizzata, come si evince da la porta dell’est che dischiude inattese epifanie. Qui i movimenti dinamici si compenetrano armoniosamente tra vuoti e pieni, riscattando il pondus arido della materia con la levità del ritmo e la poeticità del simbolo.
La scultura è sormontata da un sottile filamento semicircolare che lega sul piano i vari elementi dando respiro e leggerezza alla composizione mentre in basso una lunetta capovolta fa scendere la struttura in un equilibrio spaziale e atmosferico di vivida stupefazione. Il medesimo esito di virtualità febbrile si riscontra nella scultura Astro, un corpo celeste sferico dal manto rugginoso che presenta fenditure e anelli contrapposti e segmenti di ferro innestati come corde musicali dell’arcano cosmo.
L’una e l’altra scultura, issate su un’asta, vivono di spazialità, di aria, di luce tra superfici concave e convesse, scuarci slabbrati, lamelle piegate e vele al vento. Ne discende uno scenario ammaliante che muta d’intensità plastica e leggiadria formale a seconda dell’angolo di prospettiva visiva. Su questo concetto l’artista misura la propensione a scardinare schemi e formule convenzionali attraverso la declinazione di un verbo genuino e allusivo, capace di svilupparsi secondo esiti e ritmi di matrice astratta tesi a inseguire la suggestione emotiva del simbolo e l’armonia segreta tra vuoti e pieni che eleva ogni manufatto a universali valenze di poetica germinazione.
Daniele Taddei (Grafismi, 2016)
Con la dovuta premessa di non conoscere in maniera approfondita Valerio Valeri come uomo e come artista, essendo la nostra conoscenza di fresca data, osservando i suoi lavori del ciclo “Grafismi”, vengo proiettato come per incanto in un “territorio artistico”a me molto caro e vicino, quello dell’Arte “Verbo Visiva”. Qualcuno si interrogherà su questa mia definizione, ma venendo da una rassegna inaugurata di recente, trovo molto vicina la ricerca e la sperimentazione di Valeri in questo contesto, in quanto proprio dal titolo del suo percorso “Grafismi”, si evince una rappresentazione segnica, una traccia, un graffio sulla materia, che va ad interferire con il verbo, con la parola. Gli interventi di Valeri sui materiali metallici non sono altro che un modo di comunicare con l’esterno, e quei tagli, quelle forme nascenti, sono delle contestualizzazioni della realtà, reale sempre più complessa ed ebbra di dubbi.
Il suo cesellare è rigoroso ed elegante perché questo rappresenta il suo carattere, leale, sincero, rispettoso e tollerante, dai suoi mirabili “Grafismi” nascono non tanto forme ma emozioni, tensioni, speranze. Non v’è violenza nel segno, il gesto è sempre controllato, la sua mano sapiente si muove sempre con grande armonia. Anche il metallo stesso, supporto di turno, sembra assecondare l’operato di Valeri tanto da facilitarne l’intervento, anche perché esso sa che l’autore lo nobiliterà, lo farà rivivere, gli darà quell’anima che poi è l’obiettivo del nostro autore.
Sono immagini scritte, parole incise, occorre saperle ascoltare, non limitarsi a soddisfare l’occhio, sono frasi da interpretare o meglio da interrogare, perché ogni racconto di Valeri merita conoscenza e confronto. Solo in questo modo potremo entrare prudentemente nella sua intimità, intimità che è data a conoscere solo a quanti spiritualmente sono a lui vicini. Auspico quanto prima di approfondire meglio il rapporto con l’Uomo Valeri e con Valeri Artista, sicuramente ne trarrò benefici sia sotto il profilo umano che sotto quello artistico e culturale.
Roberta Ruggeri
Quella curva meridiana sembra essere lì da sempre, sotto l’arco di vicolo della notte. In queste opere ho ritrovato il racconto del mare, l’elemento concentrico, la retta il limite dell’orizzonte, finzione bidimensionale di un congiungimento sottile al sipario mutante del cielo. Ottone, rame, ferro, modellati in ogive oscillanti su esili appigli, come feticci. Spesso erano percorsi di coscienza o finestre sul mondo coordinate spaziali, astratti indizi astrali orbitanti nell’aria o memorie marine generate dall’esterno moto dei flutti.
L’infinito ritorno del ciclo vitale, dal mare al mare. Superfici ruvide o levigate, narvali o sestanti, fenditure-ferite-varchi, slabrature dolenti attraverso la materia aspra dei metalli. In “Come graffia il cielo la luna non lo fa nessuno”ecco le bizzarrie verbali dei surrealisti, ritornano la geometria del cerchio, misura dell’uomo, la magia dell’universo, le distanze tra corpi celesti. La linea tonda, scura del ferro confligge col suo essere luna, genera scatti sagittali insidiosi come lance. Poi ci sono i paesaggi di rame bruciati come armi corrose dal tempo. E nell’altra scultura di legno ed ottone, quasi una miniatura, le macchie verdi-azzurre dell’ossidazione che furono incastonature di pietre o vetri colorati, appaiono come residui d’acqua salmastri, tracce nostalgiche di scogli, di pesca e di porti, di luoghi che si sono persi.
In ogni lavoro di Valeri sembrano essersi dati convegno i quattro elementi della natura in un antico gioco di alchimia che lega ancora l’ arte alla forma ribelle e docile della materia.
Vittorio Brandi Rubiu
“…Fra i materiali che usa, Valeri predilige il ferro, per la sua povertà ed arcaicità di fondo, il suo colore, la sua ruggine. Ma gli piace di svilupparne gli elementi di contrasto con sfregamenti e più ancora con tagli ed incisioni, sporgenze a mo di branchie o lamelle, che interrompono la superficie piana e rappresentano così per dire il lato grafico della scultura.
E qui è dato cogliere un altro aspetto, fondamentale, che è una specie di scambio in atto, appunto, tra la materia e il segno. Il ferro, con il suo peso. Ma il segno con il suo ritmo, vitalizza la materia, e la trasforma in un organismo linguistico.
Certo, non è facile dare un significato univoco, oggettivo, a queste sculture totem, come verrebbe fatto di chiamarle, così rigidamente e coerentemente astratte.ma proprio da questa apparente mancanza di significato nasce l’esigenza, per la scultura, di porsi come assoluto, come un qualcosa di irriducibile, in termini fisici, a cui non si accede con il senso comune…”
Piero Alberto Tulli
Il tema dominante di questi ultimi tempi della ricerca dell’artista è il mare. Dalle immagini emerge un discorso di fondo: un rapporto concreto ed umano con il mare, con uno studio attento ed amorevole dell’elemento mare ed un atteggiamento di sapore Melvilliano, come una specie di Hemingwaj mediterraneo.
Se a livello individuale questo potrebbe sembrare un sogno, nella realtà plastica di Valeri esso si concretizza(materializza)in un rapporto reale, in un dialogo continuo. Il segno di Valeri ed il gesto su carta o su metallo assumono una grafia delicata e suggestiva, allusiva di momenti sentimentali; non è un semplice contatto freddo, un sentire non solo tattile l’onda che si distende sinuosamente su se stessa , ma è anche olfattivo, pregnato di continui concreti, attuali brucianti; è questo un messaggio di valore concettuale che ci viene inviato e che ci giunge come una testimonianza di una propria dimensione di vita.
Non il messaggio nella bottiglia, ma un discorso di uno scultore che, partito all’inizio sulla scorta di certe esperienze informali appartenenti all’area di Edgardo Mannucci e di certo Ettore Colla, attraverso uno studio attento quanto proficuo sull’opera di Valeriano Trubbiani con tutta la sua spetata e lacerante denuncia ritorna a segnare la carta, pietra, il ferro, con l’umiltà di un calafato per un recupero, anche e soprattutto, dei valori plastici più semplici ed elementari.
Nicoletta Rosetti (Analisi)
La scacchiera è il mondo, i pezzi sono i fenomeni dell’universo. Le regole del gioco sono quelle che no chiamiamo le leggi della natura. L’altro giocatore è nascosto a noi; sappiamo che il suo gioco è sempre corretto e paziente. Ma sappiamo anche, a spese nostre, che egli non perdona mai uno sbaglio ne fa mai la più piccola concessione all’ignoranza. (Thomas Henry Huxley)
Valerio Valeri è un demiurgo dei metalli, dei segni e dei paesaggi; anconetano classe 1950, allievo di Mannucci e Trubiani, ha cesellato grafismi e orizzonti, sestanti e barche, ha considerato lungamente Siddartha e la vastità del mare e infine, ha riflettuto sul mando dell’arte stessa attraverso il gioco più vicino alla complessità dell’essere che l’uomo abbia mai prodotto: gli scacchi.
Un gioco che per Valeri è un eredità paterna e che, diventa passione, finisce per fondersi con il suo lavoro, in una tarda foto di Duchamp, coglie un dettaglio che per ogni scacchista che si rispetti non è che un errore da principianti: il nero a destra. Marcel Duchamp era ormai un giocatore professionista: nel 1923, al culmine della notorietà aveva messo da parte le arti figurative per dedicare 12 anni della sua vita agli scacchi, tanto da poter vincere una partita in due mosse pur se distratto da una avvenente avversaria come la modella Eve Babitz completamente nuda.
Dal dettaglio di questa scacchiera mal organizzata, prende il via una complessa serie di riflessioni dentro e fuori l’ossessione condivisa con il maestro del Dadaismo, che, nel 1996 da vita all’opera “Partita a scacchi con Marcel Duchamp”. Una vera partita con tanto di sedia, scacchiera scomposta e pezzi: tra tutti la donna( la Regina) riconoscibile per via del femminile stivale con il tacco che scende le scale sposando l’assioma deuchampiano del Nudo che scende le scale e i pedoni – lingue – serpenti che rimarcano la durezza e l’animosità che sempre caratterizza le sfide sullo scacchiere. Qualche anno dopo, il “Nero a destra” ispira una nuova partita, stavolta giocata con una delle più celebri opere cinematografiche di Bergman, il settimo sigillo, dove il cavaliere Block ingaggia con la morte una sfida a scacchi per rimandare la sua dipartita.
Il significanti, qui, si raccolgono all’interno di un cerchio magico che divide il piano del racconto da quello della realtà e, unico ponte è la scacchiera stessa in foggia di sgabello. Un andamento narrativo che ricalca il cammino verso la prise de conoscence della tarma animando il piano da gioco dove una piccola barca dallo scafo curvo beccheggia scandendo il tempo, nodo centrale dell’ intera partita; una piccola antenna aggrovigliata descrive, invece il gesto del giocatore che sottrae il pezzo dal campo lasciando che il suo vorticare un istante nell’aria tracci ingarbugliate linee di forza.
In un angolo uno zoccolo, sineddoche del cavallo e, sugli altri steli, immerso in questa corte di simboli uno degli eterni orizzonti di Valerio Valeri che sposa quello marino Bergmaniano.
L’ultima delle partite, la più recente, trae spunto da una curiosa quanto mai calzante assonanza: nel 1851, Anderssen e Kiesertzky disputano L’immortale, una partita a scacchi passata alla storia perché giocata su sacrifici che sembravano rendere la vittia di Anderssen implausibile. L’alto grado di infattibilità e impossibilità, traccia, per Valeri, un affinità elettiva con Gino De Dominicis, l’immortale, appunto.
Un grande omaggio articolato in miniature che sono la sintesi di un lungo e serrato confronto: il Tentativo di far fermare dei quadrati invece che dei cerchi intorno ad un sasso che cade nell’acqua risolto con il lancio di un cubo: Urvasi e Gilgamesh divisi come due sponde lontane ma riconducibili all’uno grazie alla lastra-cuore centrale; lo gnomone della Calamita cosmica rimpicciolito per attrarre energia alla portata del singolo; il sipario che tramanda la teatralità dei calembour dell’immortale; il vano combattimento con il tempo sanato dal serpente simbolo d’immortalità e un orizzonte, più segnico e leggero, al quale tendere che traduce in linea spezzata il profilo dei nostri Monti Azzurri. Analisi, infine, è l’opera che guida questo percorso, la partenza e la somma dell’intero lavoro.
Un personaggio un volto umano che riflette e analizza in un gioco di infiniti rimandi, le tre partite a scacchi; omaggi a grandi maestri, certamente, ma anche celebrazione del rispecchiamento della vita e dell’arte nel gioco degli scacchi stesso.
Umberto Peschi
L’esperienza di Valeri, legata al ferro, sorprende per la sua ricerca nervosa, che via via matura e si consolida in opere che stanno a dimostrare le sue naturali capacità inventive che unite ad una manualità cosciente, rivelano una notevole magia evocativa.
Carlo Melloni
“…Mentre la scultura solitamente è palpabile, è un’opera che l’osservatore può persino assoggettare ai suoi comportamenti esteriori.Queste opere di Valeri presumono soltanto di essere guardate. Ciò è dovuto al fatto che esse mantengono un canovaccio di base essenzialmente grafico e, quindi la materia(che è sostanzialmente il ferro con minimi inserimenti di ottone e rame) si piega a ricreare un immaginario che, per assurdo, sembra più pittorico che scultoreo.
Avvalorando questa sensazione qualche macchia di colore che l’artista sovrappone qua e la, oppure la lavorazione ha volute e solchi delle parti metalliche più nobili, si aggiunga, infine, che i titoli più ricorrenti è “orizzonte”, cioè un titolo che se blocca lo sguardo dell’osservatore sulle linee che nell’opera scultorea costituiscono i limiti della sua percezione ottica, concettualmente l’arricchisce di una spazialità illimitata…”
Lucio del Gobbo
“… E’ essenziale nel lavoro artistico di Valeri il rapporto con la materia.Le sue forme si adeguano ad essa tanto da conformarsi in maniera diversa con il suo variare. La stessa poetica, seppur coerente attraverso gli anni aggiunge, rapportandosi con la materia, capitoli nuovi, suggestivi, suggeriti dalle capacità evocative di essa. Soprattutto i materiali ferrosi, i metalli a volte anche nobilissimi, attraggono lo spirito creativo dell’artista.
Con il rispetto consapevole di chi conosce, per averla assimilata in lunghi periodi di esperienza in botteghe a contatto diretto con il lavoro, l’etica artigiana, Valeri interviene sulla scabra bellezza del metallo, nobilitandolo con una sapiente manualità rendendolo intrigante e persino, a zone, prezioso. Le “aggiunte” che Valeri opera sulla massa ferrosa sono suggerite da un antico uso di essa, e da storie che una fantasia non digiuna di letteratura e provvista di sensibilità poetica suggerisce.
Le forme che Valeri inventa troneggiano ambigue e imponenti come totem oppure si orientano nello spazio con leggerezza e silenziosa mobilità di fantastiche banderuole. All’evocazione tematica di qualche anno fa, quando le sue forme reperto raccontavano il mare e suggestive storie sommerse e riesumate, ha fatto seguito, intensificandosi, l’interesse per la materia, una emotività nuova, più introversa e vigorosa a cui si è aggiunta una progressiva introduzione di spazialità…”
Lucio Del Gobbo (Riflessione sulla sua mostra “Versanti”)
Dopo anni di amicizia e conoscenza, credo di poter indicare di Valerio Valeri una peculiarità che reputo qualificante: la cordialità. Non mi riferisco tanto alla cordialità della persona, che pure salta all’occhio al primo approccio, attraverso una giovialità e un sorriso mai lesinati o assenti, bensì alla sua cordialità di artista, quella che contraddistingue il suo rapporto con l’arte, con le forme, con i materiali, con le tecniche attraverso cui la realizza. Egli è scultore; attività che esercita senza quella protervia che può derivare all’artista da un preteso assoluto dominio della materia. No. Il suo approccio con essa è cordiale, gentile, senza drammi e forzature. Sa trattarla come conviene, con assoluta padronanza tecnica e con una consapevolezza che riguarda proprio i valori espressivi insiti in essa, che sia il metallo, il legno o la ceramica. Egli sa ingentilirla e corredarla con preziosità, la materia, usando contemporaneamente la sensibilità dell’orafo e quella dell’autentico scultore, sia quando la lavora nei grandi formati, sia quando la centellina in forme minimali, conferendole” caratura” di gioiello: l’insito che la qualifica artigianalmente è sempre presente nell’uno come nell’altro caso.Ed è questa una notevole qualità di Valeri: di sapersi prestare a qualsiasi formato, con sculture monumentali, che si adattano all’ambiente come fossero parte di architetture preesistenti, oppure mantenersi in forme e formati “intimisti”, da tenersi vicini, da custodire nel privato, per significato e valore. E qui si rende necessario rivelare quali siano i segreti di tanta padronanza e adeguatezza: la sapiente sapiente scelta di un tema; il contenuto delle opere; la pregnanza di una poetica. L’intelligenza di Valeri è di lasciarsi condurre da temi di afflato universale: il mare (inteso anche come via d’acqua che unisce), la natura, il cosmo, l’orientamento, la scelta di direzione( spesso evocata da sculture orizzontali, stese in terra), ed infine il tempo (misurato con strumenti e materiali di uso secolare ed arcaico).
Temi, tutti, che coinvolgono l’uomo sotto un profilo esistenziale, sentimentale, antropologico: un linguaggio capace di parlare a tutti. Ed è questo un altro contributo della sua cordialità: il rapporto con l’osservatore è suadente senza essere duro o provocatorio o scioccante, come spesso avviene nell’ espressione artistica contemporanea.
Eppure le sua argomentazioni si mantengono “ alte” spaziando dal sociale allo spirituale al poetico, e sufficientemente ampie per accogliere al loro interno accenti che riguardano il segreto dell’ animo, un rapporto sensibile con un “ prossimo” interno ed esterno.
Infine un altro derivato importante della cordialità di Valeri: la modestia, l’umiltà, la semplicità dell’artigiano. Egli non si considera “servo dell’arte” e neanche “despota”, bensì “amico”, convivendoci con pragmatismo e mitezza. Tutto ciò può apparire anacronistico, e persino debole rispetto ad atteggiamenti edonistici, oggi dominanti nel mondo dell’arte: in realtà la vera forza di Valeri artista, la sua onestà il suo equilibrio orgoglio e virile insieme.
Eliana Lucci (Materia e forma)
Il percorso artistico di Valeri, successivamente alla formazione accademica, si è snodato negli anni attraversato da un filo conduttore coerente, generato da una primitiva linea grafica che si sviluppa liberando tensioni e aggregandosi in forme bidimensionali e plastiche dinamiche. E’ il ferro il materiale usato dallo scultore, versatile ma non così duttile, piuttosto una sostanza aspra che si sviluppa secondo una sua propria logica compositiva fatta di allungamenti saettanti in orizzontale o verticale, di sottili fili piegati e disposti come a formare uno spigoloso spartito musicale o aggregandosi in pannelli materici irregolari cuciti da saldature, intervallati da cesure, mossi da escrescenze. Non si coglie un’urgenza espressiva, un’emotività che sgorghi da una visceralità interiore incontrollata ma un attenersi alle volontà, alle ragioni perentorie della materia di farsi forma, pura forma.
Gli esiti lirici di tali estrusioni sono una conseguenza, forse inaspettata ma non meno efficace rispetto a una deliberata ricerca espressiva o emotiva.La matrice del percorso di Valeri non va rintracciata nelle sperimentazioni dadaiste in cui i materiali impiegati sono oggetti di riciclo scampati alle discariche per rivivere nelle ribalte dei musei come quotidiani oggetti trovati e creativamente manipolati ma è collegabile alle poetiche astrattiste dell’informale degli anni ‘50 del Novecento nelle declinazioni di correnti come Origine.
Il programma del gruppo rifiutava infatti ogni forma di deviazione decorativistica per un recupero onesto ed elementare del fare, con una visione vigorosa e ricca di energia rigeneratrice.
Apprezzabili sono, degli ultimi anni, le sculture di Valeri istallate in contesti paesaggistici in dialogo o fuse con l’ambiente naturale, monumenti celebrativi non invasivi ma totem solitari, in forme essenziali, leggere, sintesi vitalistiche del continuo cosmico divenire.
Nunzio Giustozzi
La scultura di Valerio Valeri incarna un altra tendenza del contemporaneo che si ricollega alle innovative esperienze di Fausto Melotti per il quale l’arte era uno stato d’animo angelico: rivolgendosi non ai sensi ma all’intelletto, la “modellazione” era superata dalla “modulazione”; La natura sublimata dell’incanto della geometria che non è sperò solo ordine, costruzione ma anche invenzione, dall’ascolto di una voce interiore che per la sua purezza si specchiava nel lago terso della fantasia.
L’Artista risponde a questo nuovo annuncio esiodeo della magia dell’universo con la sua ricerca legata specialmente al ferro, ai metalli, talvolta anche nobilismi per inserti minimi ma preziosi, di cui ha imparato a conoscere intimamente le potenzialità fisiche, le capacità evocative della materia e delle tecniche durante la sua formazione orafe nei lunghi anni di apprendistato a bottega, dove ha acquisito una lodevole etica artigiana.
Cosi da Edgardo Mannucci, campione di una scultura informale dapprima segnica e poi materico-gestuale, in cui domina lo studio del colore, della luce, dell’energia, recepisce la possibilità di nuove forme attraverso la tecnica della saldatura diretta, a vista, la cui materia incandescente da vita a una forza immediata capace di esprimere emozioni profonde.
Lo sperimentalismo si estende quindi alla mescolanza di più materiali come il legno, l’ottone, il rame, l’alluminio, le plastiche, le gomme.
Dopo le prime prove anche monumentali e ambientali in cui Valeri riesuma “ reperti”, piega e assembla tralicci con intento descrittivo-narrativo e lascia respirare la natura ricreata recuperando spazi al vuoto e al silenzio, favorendo l’attitudine all’osservazione non solo di ciò che c’è ma anche di ciò che manca o in altra concomitanza di spazio e di tempo potrebbe darsi, la svolta verso una latente, ora convinta e coerente tensione all’astrazione.
I lavori si strutturano attraverso l’elegante combinazione di più volumi che si riducono nelle masse a intelaiature di profili tubolari per creare un immaginario minimale che paradossalmente sembra più grafico che scultoreo, con tagli e le incisioni che interrompono le superfici piane come branchie e vivono d’aria.
Addirittura pittorico quando si scelgono i metalli per il loro portato cromatico: il ferro con le sue ossidazioni, macchie informali enfatizzate attraverso segrete lavorazioni e sfregamenti, bruciate o corrose dall’azione inesorabile del tempo, l’ottone o l’oro brillante, per aspirare all’eternità.
O quando un rilievo diventa quadro in cui metallici ingranaggi si intrecciano a sintattiche suture, a segni vivi di un organismo linguistico che il titolo ci aiuta a decifrare, come per le ferrigne, vettoriali forme-forza delle macchine a parete.
E’ stato già notato il valore totemico delle sue creazioni che si rivolgono al passato ma che esprimono con le loro slabbrature e gli squarci le dolorose lacerazioni, le inquietudini del presente.
Ma la componente patetica non è l’unica corda della poetica dell’artista e già si stempera lucidamente in un individuo che cammina con le sue gambe filiformi e in testa una fantastica banderuola, nel teatrino surreale “Partita a scacchi di Duchamp” . Fu quel giocatore- il padre indiscusso dell’arte contemporanea cui Valeri rende omaggio – il primo a chiamare mobiles quelle sospese composizioni di Calder che si muovevano al minimo buffo d’aria in una festosa cosmogonia.
E’ stato lo scultore americano a imprimere fisicamente alle sculture il movimento, un azione che ne moltiplica gli stati, che attribuisce alle forme una dimensione temporale e l’affida alla casualità degli imponderabili equilibri, che situa l’opera nello spazio-ambiente, al chiuso o all’aperto.
Per lui, come per Valeri, che ricerca il movimento attraverso il dinamismo strutturale delle forme, “il lavoro è come una scala ascendente di pesi e contrappesi”. Eccop erchè né l’ordine né la simmetria fanno talvolta le sue composizioni, talaltra si quando il bilanciamento è tentato in una situazione di cattività ancestrale, come per “ Crittogramma”, luminosa lama ritagliata e appesa in um obelisco cavo, che si riappropria in gravità di un sostrato mitico, di arcani grafismi, idiomi desueti, sciamanici, che disegnano il divenire tra ragione e desiderio.
La luce è catturata in modo che le forme tridimensionali diventino quasi lineari, come se lo spazio fosse creato anche attraverso l’illusione e quindi anche con un appello all’immaginazione. L’osservazione del mondo organico lo scultore non smette mai di usare come modello che poi sintetizza fino a costruire una forma che rende l’idea dell’archetipo cui si riferisce, come nel suo ultimo capolavoro dal nome emblematico” Siddharta” in cui taglia direttamente le lamine metalliche, le lima, le rende levigate, sottili e morbide come foglie, conche dorate ricettacolo di luce divina.
Egli propone ancora dunque opere che non praticano il togliere e mettere della scultura classica a tutto tondo ma costruiscono oggetti che continuano a collocarsi nelle tre dimensioni dello spazio attraverso ramificazioni in un complesso equilibrio.
Mario Falessi
“La sua arte è sublimazione di forme armonizzate, di squisita eleganza, senza riduzione o ripetizione, epigoni di calibrati flussi di sensazioni. Virtuosismi di segno-metallo che trillano di purezze adamantine ed inconsuete, immaginazione, temperamento, rimembranze coscienza ed ignoto danno vita a un essenziale prezioso, ricco di interiorità e di fascino.Un’arte che incanta e seduce proprio perché sensibilizzata e sensibilizzante. Cesellatore, orafo della linea e del segno, Valeri raggiunge vertici tali da catturare tutta la tua meraviglia prima ancora della decifrazione. Se oscura è la traduzione chiaro ed altisonante è il trillo lirico che percorre le sue opere e da esse evade a penetrare il silenzio”.
Bruno Cantarini
Trentacinque anni di presenza continua e creativa, di fedeltà alla sua vocazione artistica in un lavoro serio, appassionato, originale: questo il bilancio dell’attività di Valerio Valeri, scultore anconetano dai lontani retaggi d’oreficeria, attualmente docente all’Istituto d’Arte Mannucci di Ancona.
La frequentazione di Peschi prima, di Mannucci poi, lo guideranno decisamente nel passaggio dalla forma minuta del monile prezioso ad una espansione nello spazio sempre più dilatata, pur mantenendo leggerezza, eleganza e rigoroso equilibrio. I suoi metalli sono ricchi di tagli, innesti, linee spezzate, ma in un ordine complessivo da rigo musicale: partiture di melodie spaziali che vanno dall’allegro motivetto ad una sorta di fuga sinfonica di intensa suggestione. Movimenti talora calmi e ponderati, tal’altra bruschi, ma intriganti come mosse d’una terna partita di scacchi.Con se stesso e con la vita.
L’ultima opera “pubblica” di Valeri, una snella scultura in ferro zincato alta quasi 10 metri, nasce sul luogo di una assenza:un borgo scomparso, travolto e ingoiato da una frana nel 1982 all’ingresso nord di Ancona:”Un segno per il Borghetto… per non dimenticare”, inaugurata sabato 16 dicembre 2006 nell’area della frana Barducci.
Nella sua essenzialità formale – spiega l’artista – la zona della istallazione vuole essere un punto d’approdo, dal mare alla terra, dopo che la terra era scivolata in mare. Lì è condensata tutta la memoria marina del vecchio litorale, la “marineria” con i suoi alberi, le vele e le reti, e le tante palafitte dei pescatori un tempo numerose sulla costa. Su uno scoglio rigorosamente bianco, dove il taglio a terra d’una prua immaginaria segna il punto simbolico d’approdo, svettano gli elementi marinari protesi tra cielo e terra: vettore della memoria e grido totemico d’un passato che diventa ritorno.
Paola Calafati (Sculture in città)
Con il patrocinio dell’Ente Comunale e della Galleria d’Arte “Moretti”si è dato vita ad una interessante iniziativa che si svolge nell’intero contro storico della Città Alta. E’ stato infatti prorogato il termine della mostra dello scultore Valerio Valeri allestita per le vie di Civitanova Alta.
Si tratta di un opera che consente di valorizzare e riscoprire quegli spazi di cui sfuggono la connotazione suggestiva per il sopravvalere dell’ abitudine, che la frequentazione quotidiana induce.
Ecco allora sorgere improvvisi elementi scultorei che, captando l’attenzione del passante, richiamano su di essi e sul contesto paesaggistico quell’ occhio del sentimento capace di tramutare un fatto in un vissuto personale.
“ intervento poetico sullo spazio” così Valeri ama definire la collocazione delle sculture nel percorso urbano da lui scelto.
L’ubicazione di ognuna di esse risponde ad un preciso criterio che è quello di far evitare al visitatore le consuete vie di scorrimento per condurlo su certi “ affacci”.
Qui l’autore ha si operato una sovrapposizione alle presenze architettoniche già date, ma permettendo di queste una lettura diversa, mediata.
Il linguaggio usato è quello proprio delle percezioni sensoriali che tanto più si esplicita in “percorso urbano” e “ tetti” dove le inclinazioni che tagliano lo spazio e i profili delle case traducono le memorie in pregrafismi.
Civitanova Alta vanta delle presenze culturali dello spessore di Annibal Caro e del coreografo ballerino Enrico Cecchetti che non potevano essere dimenticate da Valeri. E a loro ha voluto arrecare un suo omaggio nella scultura”Dafni e Cloe”.
Quest’opera propone una ipotetica coreografia per un balletto sugli “amori pastorali di Dafni e Cloe”, opera già tradotta da Annibal Caro.
Oltre a queste citazioni dovute alla città di Civitanova Alta, nel percorso si incontrano sculture che privilegiano punti di vista orizzontali, verticali o di “sguincio” quali la serie degli “orizzonti” e “finestra”.
Ci rivela Valerio che in queste opere l’ispirazione è sostenuta dal desiderio di raccontare le figurazioni immaginarie che emergono da quella linea immaginaria che tiene in contatto il cielo e il mare: L’orizzonte.
Il discorso degli orizzonti immaginari raggiunge una pregnanza espressiva in “Cavalcando i paralleli” e ne il “ sestante” che da strumento astronomico diviene strumento per “misurare” la fantasia.
Una fantasia che ripescando nella memoria rievoca con la grande “Onda” i tempi in cui il mare lambiva i confini della città alta.
Non dimentica Valeri nel suo percorso di riferirsi con “Totem” a quel afflato magico che investe gli oggetti di valenze propiziatorie sublimando in questo modo il concetto della scultura come qualcosa che il fruitore può continuare a plasmare con la sua sensibilità, e la sua fantasia, i sui sogni e le sua paure.
Dal segno al volume: per completare questo percorso urbano e ricercarne il prologo grafico sono state esposte nelle sale del Comune i disegni delle sculture, qui vi si incontra inoltre una scultura, “dal mare ai monti”, che sta a ricordare come la città si situi al centro di quel continuum che va dall’ orizzonte verso il mare all’orizzonte verso il monte.
Una mostra, quindi, che ha consentito la riscoperta della città e che non interessa solo lo scultore d’arte ma anche colui che ne aveva dimenticato o forse mai focalizzato l’intrinseca poesia.
Francesco Maria Orsolini
Tornando alle cose in mezzo alle quali abitiamo, che chiamiamo sculture, con esse lo spazio prende corpo, un corpo che gli dà visibilità. Per tale caratteristica la scultura ha una diretta e intimissima familiarità con l’architettura che, in tal senso, potrebbe essere definita una scultura abitabile. Senza l’arte lo spazio non avrebbe concretezza sensibile e di esso avremmo soltanto i dati della matematica e della fisica. Rendere concreto e visibile lo spazio non è una prerogativa esclusiva delle opere che definiamo”sculture”,ma di una altrettanto antica famiglia di artefatti, che sono gli “oggetti-strumenti” di cui l’uomo si è circondato nella sua millenaria esistenza. Pertanto, l’apertura creata dall’arte si è localizzata in quello che ora chiameremmo”ambiente”,uno spazio che si estende dalla natura all’ interno del costruito, città rifugio o casa che sia, un contesto fatto di gesti, operazioni, organizzazioni sociali, abitudini e consuetudini, anche di carattere simbolico – rituale, oltrechè utilitaristico. Infatti, l’incorporare della scultura ha attraversato tanto lo spazio della vita pubblica che quello della vita privata, creando intorno all’essere umano un corpo esteso di significati, simboli, depositi memoriali. Acquisita dall’alto la visuale del perimetro della scultura, ripercorriamolo per individuare i punti in cui è collocato ognuno degli scultori della mostra.Nel fare spazio, dice Heidegger “parla e si cela al tempo stesso un accadere”, perché fare spazio è disporre, ordinare, installare, costruire. L’Idea del costruire spazio, la sintesi spazio costruttiva, è la matrice espressiva, certo dominante in Valerio Valeri, ripresa da una filiera ben individuabile della -cultura italiana del decennio 1970-80 (pensiamo al Mannucci delle idee più liriche che convivono con le scorie del materismo, oppure al crescendo di Nino Franchina), nella quale l’accadere del fare spazio corrisponde a un repertorio definito di operazioni su forme e volumi, come l’accostare, il sottrarre, il penetrare, l’ accavallare il separare, il curvare e l’incuneare. In molte opere di Valeri tali operazioni danno vita a linee protese e a vettori orientati verso l’alto, che si concludono sulle punte, come nella danza classica. Ma la metrica che si dispiega nelle parti centrali è segnata da interruzioni, riprese improvvise, pause, distensioni, contrazioni, insomma un fraseggio spezzato e ricomposto che evoca i suoni del Jazz.
A volte il linearismo astratto sembra ridurre a tal punto il pieno dello spazio da richiamare le scenoplastiche filiformi di Fausto Melotti, come in Sintesi, o in Orizzonti Guerrieri. Però ad ostacolarne l’associazione, c’è nella scultura di Valeri un apparire tellurico del metallo una patina arcaica, forse desunta dalla tradizione dell’arte Picena. Fatta di aste e di punte che corrispondono ai segni di una grafia dello spazio, è la più rappresentativa tra le sculture monumentali realizzate da Valeri. L’opera è dedicata lla memoria del Borghetto, l’area urbana di Ancona travolta nel 1982 dalla frana detta Barducci, che strappò dalla loro terra gli uomini del mare, i pescatori ricordati dallo scultore con aste di bilance, alberi maestri e linee fluttuanti delle vele.